Reduce da un ulteriore tentativo di ascolto di "Live at the Plugged Nickel" (sette CD registrati dal secondo quintetto di Miles Davis nel 1965), ne ho ancora una volta un'impressione piuttosto sgradevole.
Il trio è sempre centrato e a tratti entusiasmante. Miles suona il repertorio come se lo detestasse (che, per "My Funny Valentine", che all'epoca aveva suonato forse 12000 volte) magari è giustificato, ma maltratta "Agitation" nello stesso modo). Il suono è sempre sgradevole, non di rado proprio stonato. Il fraseggio è frammentario ai limiti dell'intelleggibile.
La performance di Shorter condivide molti tratti di quella di Davis, anche se con un fraseggio più disteso (e senza stonare, anche se la scelta evidentemente è di suonare costantemente out). A dire il vero Shorter è anche molto penalizzato dalla microfonazione, quindi magari c'era dell'altro che si è perso.
"Plugged Nickel" è considerato uno dei migliori live di jazz "un documento ineguagliabile di come il quintetto suonava dal vivo in quel periodo". La Penguin Guide of Jazz gli dà una stella (o anche di più, non ricordo) Se l'avessi sentito in un "blindfold" avrei detto che i fiati erano fatti, ubriachi o tutt'e due. Conclusione provvisoria: mi sfugge qualcosa, oppure nonostante gli anni passati a provarci, non capisco nulla di jazz in particolare e di musica in generale.
Allora uno s'informa.
in "Miles dal vivo e in studio" leggo che LATPN è un tentativo di rinuovere dal repertorio le consuete associazioni emotive. A me sembra una spiegazione insufficiente.
C'è anche una circostanza storica: l'ingaggio al Plugged Nickel iniziò subito dopo che Davis fu dimesso dall'ospedale dopo la seconda operazione all'anca, operazione poco riuscita ed allora probabilmente sperimentale. L'esito fu poco risolutivo per i problemi di deambulazione e soprattutto per i dolori. Dopo mesi di convalescenza il trombettista era molto fuori allenamento nello strumento ed indebolito fisicamente, il che potrebbe spiegare la tecnica strumentale assai meno che esaltante che si può ascoltare. Però questa è una spiegazione parziale, che lascia fuori le molte note 'false', il frequente ricorso a clichè e il fatto che anche Shorter dà un'esibizione molto opaca.
Poi invece ho trovato sul sito di NPR questa testimonianza (http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=1579820), che riassumo.
Si tratta di un aneddoto che la musicologa Michelle Mercer riferisce ha raccolto da Wayne Shorter, di qui nel 2004 stava scrivendo la biografia.
Prima di entrare nel Plugged Nickel, la sera del 22 Dicembre, Il batterista Tony Williams (che aveva poco più di vent'anni ed era - musicalmente . il più irrequieto del gruppo) propose agli altri tre membri (Wayne Shorter, sax, Herbie Hancok, piano, e Ron Carter, basso: Miles Davis in quel momento non c'era) di fare due serate di "anti-musica" in cui invece di suonare la prima cosa che tutti si aspettavano, ognuno doveva suonare l'ultima cosa che chiunque si sarebbe aspettato. Proposta che fu accettata (con diversi dubbi da parte degli altri) prima che, entrando in sala, fossero essi stessi sorpresi dal trovarvi Teo Macero (il produttore di Davis alla Columbia) con tutto l'armamentario di registrazione (Davis aveva saltato una data a Novembre e aveva concesso alla Columbia di registrare quella data in cambio, sena dirlo agli altri). Williams fulminò tutti con gli occhi per chiarire che indietro non si tornava più. Davis - che non sapeva nulla - sulle prime fu piuttoso sorpreso (o peggio, lo si sente quando Hancock suona un accordo completamente diverso da quello che Miles si aspettava) poi, quando ebbe capito la situazione, si adattò e poi si entusiasmò al gioco, che continuò per tutte e due le serate. I musicisti poterono riascoltare le incisioni solo quattro anni dopo come highlights (il pletorico "Complete" è recente)
Se questa testimonianza si può prendere per buona, ma non si capisce perché Shorter dovesse inventarsi una cosa del genere, le conseguenze sulla lettura di LATPN sono abbastanza clamorose.
Intanto le due serate rappresentarono un unicum nella vita del quintetto. Non avevano mai suonato così fino ad allora e - probabilmente - non suonarono mai più allo stesso modo (anche se non c'è dubbio che l'esperienza avrà lasciato un segno). Dimostrato anche dal fatto che (libro della Mercer) quando il disco uscì (diversi anni dopo ed era la selezione, non il complete) i componenti del gruppo si stupirono che quello che avevano suonato quella sera avesse senso. Insomma LATPN sarebbe un titanico esercizio d'interplay e un gigantesco dito medio mostrato ad un pubblico che (due sere prima di Natale) era più che altro interessato ad ubriacarsi. Per non parlare di Teo Macero, cui sarà venuto un colpo.
Una verifica sperimentale, l'ho avuta (ri)sentendo i vari video del quintetto che vi si trovano su youtube. In nessuno (neanche in versioni abbastanza esplorative - http://www.youtube.com/watch?v=x_whk6m67VE) i temi e il lavoro solistico sono affrontati come in LATPN.
Ad esempio, questa "I Fall in Love Too Easily" (http://www.youtube.com/watch?v=QNvuwtil4PU&feature=related), che è del 1967, ha ben poco delle versioni di LATPN. Peccato si trovino solo video del 1963 e 1967 (del 65 niente, forse proprio per i malanni che affligggevano Davis in quell'anno).
Chiaramente fare un disco di highlights era la scelta giusta. Dall'ascolto del Complete, quello che io riesco a capire è che, su due serate di concerto a regole invertite le cose che hanno funzionato furono molto meno di quelle che non hanno funzionato o che erano semplicemente sbagliate (un band normale che cercasse di fare un concerto con queste regole farebbe un caos totale). Si capisce anche come mai i più spiazzati siano Davis e Shorter, che devono inseguire le sorprese del piano e del basso (Williams, l'ideatore del gioco, è quello che tutto sommato non fa anti-drumming). Si spiegano così tutte le stranezze che ho sentito attribuire a stanchezza fisica, disgusto per l'ambiente musicale dei club, etc.
Infine, mi sarei aspettato che questa possibilità (ma la chiamerei certezza) interpretativa avesse avuto più risonanza. Certo sarebbe difficile continuare a sostenere che questo è il miglior live di jazz di tutti i tempi. Uno stupefacente esperimento, al massimo. Invece l'ho scoperta solo pochi giorni fa e quasi per caso (ed è strano, visto che per riscrivere gran parte dell'articolo di Davis su Wikipedia mi sono - un paio d'anni fa - letto tutto quello che riuscivo a trovare su Davis e, per tic, continuo a farlo). Anche perchè immagino che i dubbi che sono venuti a me saranno venuti a qualcun altro. Evidentemente c'è un sacco di gente che vede un re in pigiama ma dice di averlo visto a cavallo.