L'uso di questo sito
autorizza anche l'uso dei cookie
necessari al suo funzionamento.
(Altre informazioni)

Monday, March 31, 2014

New thing, arnesi vecchi

Ma quelli che sapevano citare "Das Kapital" per edizione, captolo e versetto, che "la tragedia fu la sconfitta do Trotzky", quelli che la "democrazia" era tra virgolette e le "libertà", spesso, "borghesi", quelli che il 1989 "meh", sì quelli lì, insomma, dove sono finiti? Molti, dopo Puerto Escondido, si ritrovano sul sito e sui blog dei Wu Ming, dove la festa continua, magari in tono un po' minore. Partendo da lì, si vezzeggiano su twitter, si recensiscono i libri a vicenda, partecipano a reciproche trasmissioni radio, eccetera.

Sul sito, una sottile impiallacciatura di No Logo, Anonymous (italianizzato con una maschera da Zanni, tiè), e Occupy dissimula, ma non riesce a nascondere, la solida vena del legno della vecchia pianta. Basta socchiudere gli occhi e l'HTML si scioglie rivelando in filigrana un volantino ciclostilato. Ah, i vecchi anni 1970, con tutta la pacottiglia che non mi sognerei mai di rimpiangere.

Ma non di questo vorrei parlare, quanto del fatto che i componenti dei Wu Ming scrivono libri, che  coerentemente - e coraggiosamente - rendono disponibili per il download. Uno di questi (di Wu Ming 1) si chiama "New Thing" che, come sa chiunque abbia avuto per le mani un disco "Impulse!" è il nome "colto" (e per questo, praticamente dimenticato) del free jazz.

Ho letto "New Thing" animato da vaghi pregiudizi (tipo "Sarà una palla allucinante"). Sono stato felicemente smentito. "New thing" è un giallo grazioso il cui impianto idelologico è giustificato dall'ambientazione (la New York degli anni '60). Anche se non riesco a perdonare a quel personaggio che parla sprezzantemente di  Stan Getz (cosa che credo nessun sassofonista abbia mai fatto, e pour cause), anche la parte del libro che riguarda la musica è informata (anche troppo, come dirò). Lo stile è debitore del New Journalism, con una spruzzata di gonzo e (IMHO) James Ellroy. Il tutto funziona piuttosto bene, nonostante un ricorrente tick accademico che emerge occasionalmente sotto forma di pedanti quasi-note-a-piè-di-pagina (come la digressione sul signifyin' nel bel mezzo di un supposto articolo giornalistico su un omicidio a Brooklyn).

La storia si sviluppa in maniera appassionante, nonostante alcuni appesantimenti (ad esempio, una trenodia recitata in prima persona dal morente  John Coltrane  che io ho trovato posticcia) e altre inspiegabili omissioni (ad esempio, ci si aspetta ad ogni momento che compaia la figura tragica Albert Ayler: e invece no). Ci si dimentica persino che, insomma, il fatto che tutta questa blackness che neanche Amiri Baraka, esca da una penna bolognese, è credibile fino a Martedì.

E si continua così fin quasi alle - dolenti - note finali.

Raccontare storie (thriller o no) è un po' come volare: se atterri male, rovini tutto il volo. (Anche nel jazz è così: se suoni bene l'inizio e la fine, in mezzo puoi fare cosa vuoi - o quasi). Sono quasi sicuro che per l'autore di "New Thing", "ideologico" è un complimento e non una critica. Ma l'ideologia è una di quelle spezie da usare col bilancino, esageri un po' e ti ritrovi sbalestrato nei fittizi atti di un convegno pubblicati degli Editori Riuniti nel 1973 ("Cibernetica, una scienza borghese").

Così capita a questa storia, dove l'impianto ideologico e l'accademismo latente cristallizzano improvvisamente in un denouement quasi farsesco, dove si ha l'impressione di incontrare un Goldfinger fascista che abbia studiato troppa musicologia: "Si chiederà come abbia fatto a scoprirla, Bond. Sono state le settime diminuite della sua versione di 'Black Bottom Stomp' a farmi sospettare di lei." "Ingegnoso, Goldfinger, l'avevo sottovalutata. Ma non erano settime diminuite, erano settime napoletane" "Dannato figlio della perfida albione! Ma non riderà tanto fra due ore..." etc.

Un po' è anche colpa del fatto che, avendo messo tanta carne al fuoco in poche pagine, l'autore pare attanagliato dalla fretta di chiudere e anche questo non aiuta. Peccato, perché così "New Thing" prende 6+ e poteva essere un 8.

Thursday, March 13, 2014

^[[?1034h is in our files. We are not amused.

And so while I am busily coding stuff for our internal revamped monitoring system (nagios, smokeping, graphite and sundry  software packeges), the exceedingly weird [?1034h sequence began showing sometimes up at the end of json files I generete to create graphical dashboards, messing stuff up beyond repair.

The pesky string is (as adroitly pointed out in this post) a terminal escape sequence, namely, the smm capability (Meta Mode On) for xterm  definition in terminfo. The same post suggests - correctly - that unsetting the TERM environment variable makes the problem disappears. Which I did, thusly:


# Avoid weird escape sequences in output
delete $ENV{TERM};

Why should this be happening tho'? It's not perl specific (it's hitting python too, so there). It should be related to running (interactive) shell commands - that's when the terminal rendering stuff is initialized - but I am not knowingly doing it. Even more creepily, it does not show up in all the files I am generating: so far, I have seen it once.

Google is not helping, a part from confirming that more than a few have seen this happening. And the rest is silence.

Almost.

As this post makes clear, it could be a bug in some system IO libraries, somehow related to readline:



# $ python -c 'import readline' |less
ESC[?1034h(END)


Well, needless to say, I am not explicitly using readline, but still.