Nell'arte, per un lungo tempo, ci sono state la materia - la tela, la pietra, il suono, il tamburo - e la forma - la Madonna in trono con santi, la scena mitologica, la fuga, il blues. La materia andava vinta. La forma era un avversario e una camicia di forza, ma anche il punto d'incontro tra l'espressione e le aspettative dello spettatore.
I migliori, quelli che chiamiamo Artisti, utilizzavano la loro maestri tecnica per dominare la materia e per piegare la forma a fini espressivi: talvolta portavano l'espressione di una forma al suo massimo culmine (Bach, la fuga), talvolta addiritura la trasfiguravano (Beethoven, la sonata, la sinfonia). C'era poi chi si limitava ad appoggiarsi alla forma: gli artigiani, i virtuosi.
A un certo punto (che fisso arbitrariamente al 1945) quello che fino ad allora era considerato un evento traumatico - la creazione di una nuova grammatica formale - è diventata una pratica non solo concessa, ma perfino richiesta agli artisti che volessero essere "contemporanei". Il patrimonio tecnico-artigianale della pratica artistica poteva essere subordinato all'apparato concettuale che si voleva rappresentare. Così l'opera d'arte a volte sfumava nella trovata e diventava un capolinea. L'immagine della madonna ha avuto migliaia d'interpretazioni, ma un pisciatoio rovesciato si può esporre una volta sola, e dopo
4' 33" di Cage nessuno (tranne Cage, ma è morto) puo' comporre "1 minuto e 43 secondi e mezzo" .
Attraversando l'esposizione permanente del
Centre Pompidou in senso cronologico si passa da opere di contenuto magari provocatorio, ma con cui la relazione è immediata (il quadro, la scultura) ad oggetti ambigui, multiformi e arbtrari, le proverbiali installazioni sempre a rischio di essere buttate dalla signora delle pulizie. Ai Wei Wei può, da artista, esporre gommoni arancioni sulla facciata di palazzo Strozzi a Firenze (una installazione che personalmente non trovo sgradevole, ma che ha sollevato un discreto clamore).
Cosa resta al non specialista che vuole orientarsi? Studiare la grammatica espressiva di ogni artista, o della particolare microscuola a cui aderisce è un'impresa al di fuori della portata dei più. Si deve forse dare ragione a
Morton Feldman, quando scrisse che il musicista è diventato come lo scienziato, depositario di una conoscenza specialistica esclusiva di cui il non iniziato non può chiedere più di tanto ragione? A me questa sembra una sconfitta dell'espressione artistica in generale. L' arte sarebbe quella del pittore preferito dai pittori, del poeta preferito dai poeti, più un modo di soddisfare i bisogni (o di grattare i pruriti) di un circolo privato che uno sguardo sull'esistenza umana.
A volte guardare la scena artistica contemporanea è come assistere ad un gara di 400 ostacoli dove sono spariti ostacoli, linea della partenza, traguardo, corsie e pista. C'è chi corre da campione, chi da dilettante, chi c'è entrato per caso. Forse qualcuno vince. Ma distinguerli è quasi impossibile.