Un paio di giorni fa è capitato in uno dei miei stream il sottotitolo
di uno dei Ted Talks (non mi ricordo quale, so solo che l'oratore è
una donna di colore). Una cosa motivazionale del tipo
"Come possiamo
insegnare ai giovani ad essere pensatori indipendenti, mettere in
dubbio l'autorità, perseguire il proprio sogno". L'ossatura di un
Bildungsroman Hollywoodiano o Disneyano. Il signor Smith che va a
Washington, Erin Brokovitch che sconfigge la corporation e via
dicendo. Lo sappiamo tutti che il piccolo uomo e la piccola donna,
armati della propria
vis sognatoria e della loro capacità di pensiero
indipendente che li porta inesorabilmente a dubitare della realtà
stabilita e delle parole dell'autorità, dopo peripezie appasionanti e
drammatiche, coronano il racconto prevalendo orgogliosamente. Nei film.
Poco dopo, sempre nel (dannato) stream che marcia incessantemente in
uno dei tab del mio browser è passata una di quelle benintenzionate,
ma ormai stantie, tirate sulla crisi della fiducia nelle competenze,
dove
"democrazia non significa che la tua ignoranza equivale alla mia
incompetenza",
"fake news" e via dicendo.
Questo casuale accostamento mi ha fatto pensare (strano, dirà qualcuno). Prendiamo lo
sciachimista medio. È senz'altro possibile sostenere che costui pensi
indipendentemente e metta in questione l'autorità, che insiste a
dirgli che nessuna potenza oscura sta seminando sostanze chimiche
utilizzando gli scarichi degli aerei e che le scie di condensazione
sono infatti vapore acqueo. Ted talk da manuale. Purtroppo la sua vis
sognatoria e la sua capacità di pensiero indipendente etc. etc. sono
al servizio di una solenne idiozia. Il che ci porta alla crisi di
fiducia nella competenza, e via dicendo.
Forse scopro l'acqua calda, ma mi pare singolare che non abbia
mai sentito sottolineare da nessuno che questi due miti della società
contemporanea:
"devi pensare indipendentemente, mettere in discussione
l'autorità, realizzare il tuo sogno" e
"devi sapere riconoscere e
rispettare la competenza degli esperti"; sono in diretta
contraddizione tra loro.
La popolarizzazione/democratizzazione della figura dell 'eroe'
romantico ottocentesco ha moltiplicato i racconti di esemplari di
persone della strada che, quasi con una mano legata dietro la schiena,
svelano l'ipocrita ingiustizia dello status quo, additando a tutti la
verità negata che era lì, sotto i loro occhi, bastava un po' di
pensiero indipendente.
Capisco che le storie in cui l'autorità in fondo aveva ragione, l'uomo
della strada viene schiacciato dalla stupidità delle sue persuasioni o
dalla preponderanza delle istituzioni, la verità accettata risulta
vera e il sogno non si realizza, al botteghino vadano così così. Sono
racconti che non comunicano grandi aspirazioni, essenzialmente perché
riflettono il normale stato delle cose. In altre parole, la
democratizzazione del mito eroico lascia fuori dalla porta uno degli
ingredienti essenziali: l'eroe è un personaggio eccezionale che agisce
in circostanze uniche.
Galileo e Copernico hanno messo il Sole al centro dell'universo (si fa
per dire), ma l'esercito di quadratori del cerchio ed inventori di
macchine del moto perpetuo erano semplicemente una folla di ridicoli
eccentrici, che avrebbe fatto meglio ad accettare la verità ricevuta e
il cui sogno la storia si è incaricata di seppellire sotto una
risata. Le cose sono quasi sempre come sembrano. "Uno su mille ce la
fa" è una frase gravemente sbagliata per eccesso. E così via.
Io non credo che questo voglia necessariamente dire che il pensiero
critico sia una cosa da non esercitare o che quello che viene da una
qualche autorità debba sempre e in ogni caso essere preso per buono a
ragione della sua provenienza. Mi sembra però che la ripetizione e
l'universalizzazione di questo messaggio abbia alla fine logorato la
sua esagerata semplicità, e che continuare a riproporlo senza pesanti
qualificazioni serva solo a peggiorare le cose. Bisognerebbe forse
proporre qualcosa come:
"Devi pensare con la tua testa, ma solo se
sei effettivamente capace di farlo, e, francamente, le probabilità sono
gravemente a tuo sfavore. Ah, e per il tuo sogno vale lo stesso."
Certo, come messaggio motivazionale ha una forza abbastanza limitata.
Capita quello che, ad opera di internet, è accaduto alle frasi belle e
alle citazioni semplici del pensiero dei "grandi uomini". Quando non
sono false (e lo sono piuttosto spesso) la loro ripetizione incessante
da una parte ne espone i limiti, la paradossalità, non di rado la
falsità. Dall'altro le rende, per molti, verità autoevidenti, parte
dello sfondo accettato di come le cose stanno, o dovrebbero stare.
E così, finiscono per essere dannose, oltre che ormai inutili.
Ad esempio la mia città è stata tappezzata (forse lo è ancora) di una
enfatica frase ad effetto attribuita ad Enzo Ferrari:
"Se lo puoi sognare, lo puoi fare"
Ora, questa frase è semplicemente falsa, sia nel suo
significato letterale (posso sognare un mondo fatto ad anello popolato
di unicorni, farlo è un altro paio di maniche), sia nel suo contenuto
esortativo: poter sognare cose, poterle fare e farle effettivamente
sono cose completamente slegate. Solo il fatto che Enzo Ferrari
(praticamente unico) avesse sognato di avere una scuderia di successo
e che abbia poi in effetti realizzato questo sogno presta alla sua
frase un'aura totalmente immeritata.
E quindi, dopo decenni di esaltazione Ted-iana e Hollywoodiana degli
eroi che vengono dal basso, è al tempo stesso percepito come
banalmente ovvio - ma totalmente falso - il fatto che il pensiero deviante
costituisca un valore in sè e sia alla portata di tutti.
La morale non la so. Forse è che i messaggi semplici, in un'epoca in
cui non abbiamo il tempo per meditarci sopra e interpretarli come
semplificazioni di realtà complesse e tendiamo invece a prenderli alla
lettera, hanno fatto il loro tempo, e che i messaggeri dovrebbero
prendersi un po' di tempo per contestualizzarli e renderli, se non
veri, almeno utili. Ma può darsi che mi sbagli.