Tutti gli anni, e spesso più volte all'anno, il saggio De Rita - del Censis- ci dice la sua sugli italiani. Su quello che fanno, pensano, sentono, mangiano (mi fermo). E su quello che faranno, diranno, penseranno l'anno prossimo.
I (tele)giornali se lo bevono allegramente e per alcuni giorni si dedicano a raccontarci chi siamo, cosa che pare non sapessimo prima che le truppe deritiane ci intervistassero. Più o meno come gli oroscopi (un po' in anticipo sull'ultima settimana dell'anno).
E proprio come accade per questi ultimi, nessuno si dà mai la pena - nemmeno il CICAP, che per gli oroscopi lo fa - di andare a vedere, l'anno dopo, se De Rita ci avesse azzeccato o no.
Se è per questo, vista la propensione per i numeri dei (nostri) giornalisti, nessuno si dà nemmeno la pena di andare a vedere se quello che il saggio De Rita riferisce abbia un qualche supporto nei numeri che sono stati raccolti (fossi in lui, almeno una volta cederei alla tentazione di dire cose tipo "Quest'anno il nostro rapporto mostra come lo 0.25% della popolazione italiana sia composto di marziani albini").
Purtroppo, a differenza degli astrologi che - ad eccezione dello strabordante Marco Pesatori - si limitano in genere a consigli pedestri del tipo "Giove in Ariete è nocivo per la cistifellea, evitate i fritti", De Rita è titanicamente sentenzioso, paternalista, solonico. Più confessore/sacerdote che statistico, immancabilmente moraleggiante, quasi sempre poco sorprendente. Ma chi gliel'ha chiesto?
Francamente, preferirei che parlasse di 'chi quadro' e 't di student'... in alternativa, che non parlasse proprio. Un paio di tabelle riassuntive sarebbero un sollievo.
Insomma, De Rita arriva buon terzo nella mi personale classifica dei commentatori seccanti (dopo Alberoni e Jeremy Rifkin). Chissà se è solo una mia idiosincrasia?
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