Un programmatore umanista di genio - e mio fratello spirituale -
ha realizzato in concreto il vasto edificio intellettuale che fino ad ora si poteva solo contemplare nel racconto
"La biblioteca di Babele", contenuto nella raccolta
"Finzioni" dell'immenso autore argentino
Jorge Luis Borges.
Si tratta di un sito che mi tocca particolarmente da vicino, perché ricordo ancora come(*) scoprii questo capolavoro, e lo stupore e la meraviglia di cui mi riempì.
Come previsto da
Borges la
Biblioteca contiene
anche la propria
descrizione espressa con
le stesse parole usate dall'autore
nel racconto omonimo.
Gli attuali limiti dell'algoritmo usato fanno sì che la descrizione che si può trovare oggi sia spezzettata in sei parti (i link del paragrafo precedente) e la mia pigrizia che la traslitterazione dallo spagnolo sia imperfetta specie nelle accentate. Ma è certo che una traslitterazione impeccabile, in unico brano continuo e conforme
all'originale, vi è contenuta, così come la
sua traduzione in Italiano, ed in ogni altra lingua concepibile.
Il sito permette di cercare qualsiasi combinazione di 3200 caratteri di ricordarne la collocazione, che è immutabile.
Questo testo, naturalmente, è superfluo -
la biblioteca lo contiene già.
(*) Il racconto era in appendice alla bellissima antologia, curata da Fruttero e Lucentini
"Il secondo libro della fantascienza", che, a 11 anni, avevo divorato dopo avere scoperto la non meno bella antologia di cui quella era il seguito,
"Le meraviglie del possibile", Einaudi, 1959
.
LA BIBLIOTECA DI BABELE (J. L. BORGES)
L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero
indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi
di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi
esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La
distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque
vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati
meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non
supera di molto quella d'una biblioteca normale. Il lato libero dà su
un angusto corridoio che porta a un'altra galleria, identica alla
prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due
gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l'altro di
soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che si
inabissa e s'innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che
fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da
questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse
tale, perché questa duplicazione illusoria?), io preferisco sognare
che queste superfici argentate figurino e promettano l'infinito... La
luce procede da frutti sferici che hanno il nome di lampade. Ve ne
sono due per esagono, su una traversa. La luce che emettono è
insufficiente, incessante.
Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventù io ho viaggiato;
ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi;
ora che i miei occhi quasi non possono decifrare ciò che scrivo, mi
preparo a morire a poche leghe dall'esagono in cui nacqui. Morto, non
mancheranno mani pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia
sepoltura sarà l'aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e
si corromperà e dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è
infinita. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti
argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello
spazio assoluto, per lo meno, della nostra intuizione dello spazio.
Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (I
mistici pretendono di avere, nell'estasi, la rivelazione d'una camera
circolare con un gran libro circolare dalla costola continua, che fa
il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le
loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio). Mi basti, per ora,
ripetere la sentenza classica: «La Biblioteca è una sfera il cui
centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è
inaccessibile».
A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali;
ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme;
ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di
quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero. Vi
sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però,
che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa
incoerenza, un tempo, parve misteriosa. Prima d'accennare alla
soluzione (la cui scoperta, a prescindere dalle sue tragiche
proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio rammentare
alcuni assiomi.
Primo: La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui
corollario immediato è l'eternità futura del mondo, nessuna mente
ragionevole può dubitare. L'uomo, questo imperfetto bibliotecario, può
essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l'universo, con la sua
elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili
scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non
può essere che l'opera di un dio. Per avvertire la distanza che c'è
tra il divino e l'umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli
simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d'un libro,
con le lettere organiche dell'interno: puntuali, delicate, nerissime,
inimitabilmente simmetriche.
Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque. Questa
constatazione permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria
generale della Biblioteca e di risolvere soddisfacentemente il
problema che nessuna congettura aveva permesso di decifrare: la natura
informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio padre
vide in un esagono del circuito quindici novantaquattro, constava
delle lettere M C V, perversamente ripetute dalla prima all'ultima
riga. Un altro (molto consultato in questa zona) è un mero labirinto
di lettere, ma l'ultima pagina dice Oh tempo le tue piramidi. È ormai
risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono
leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di
incoerenze. (So d'una regione barbarica i cui bibliotecari ripudiano
la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la
paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee
caotiche della mano... Ammettono che gli inventori della scrittura
imitarono i venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa
applicazione è casuale, e che i libri non significano nulla di per
sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del tutto erronea). Per
molto tempo si credette che questi libri impenetrabili
corrispondessero a lingue preterite o remote. Ora, è vero che gli
uomini più antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto
diversa da quella che noi parliamo oggi; è vero che poche miglia a
destra la lingua è già dialettale, e novanta piani più sopra è
incomprensibile. Tutto questo, lo ripeto, è vero, ma quattrocentodieci
pagine di inalterabili M C V non possono corrispondere ad alcun
idioma, per dialettale o rudimentale che sia. Altri insinuarono che
ogni lettera poteva influire sulla seguente, e che il valore di M C V
nella terza riga della pagina 71 non era lo stesso di quello che la
medesima serie poteva avere in altra riga di altra pagina; ma questa
vaga tesi non prosperò. Altri pensarono a una crittografia; questa
ipotesi è stata universalmente accettata, ma non nel senso in cui la
formularono i suoi inventori.
Cinquecento anni fa, il capo d'un esagono superiore trovò un libro
tanto confuso come gli altri, ma in cui v'erano quasi due pagine di
scrittura omogenea, verosimilmente leggibile.
Mostrò la sua scoperta a un decifratore ambulante, e questo gli disse
che erano scritte in portoghese; altri gli dissero che erano scritte
in yiddish. Poté infine stabilirsi, dopo ricerche che durarono quasi
un secolo, che si trattava d'un dialetto samoiedo-lituano del guaraní,
con inflessioni di arabo classico. Si decifrò anche il contenuto:
nozioni di analisi combinatoria, illustrate con esempi di permutazioni
a ripetizione illimitata. Questi esempi permisero a un bibliotecario
di genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca. Questo
pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero,
constavano di elementi eguali: lo spazio, il punto, la virgola, le
ventidue lettere dell'alfabeto.
Stabilí, inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato:
non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici. Da
queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale,
e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei
venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non
infinito) cioè tutto ciò ch'è dato di esprimere, in tutte le
lingue. Tutto: la storia minuziosa dell'avvenire, le autobiografie
degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e
migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi
cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico,
l'evangelo gnostico di Basilide , il commento di questo evangelo, il
commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della
tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le
interpolazioni di ogni libro in tutti i libri.
Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la
prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si
sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto.
Non v'era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non
esistesse: in un qualche esagono. L'universo era giustificato,
l'universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della
speranza. A quel tempo si parlò molto delle Vendicazioni: libri di
apologia e di profezia che giustificavano per sempre gli atti di
ciascun uomo dell'universo e serbavano arcani prodigiosi per il suo
futuro.
Migliaia di ambiziosi abbandonarono il dolce esagono natale e si
lanciarono su per le scale, spinti dal vano proposito di trovare la
propria Vendicazione. Questi pellegrini s'accapigliavano negli stretti
corridoi, profferivano oscure minacce, si strangolavano per le scale
divine, scagliavano i libri ingannevoli nei pozzi senza fondo, vi
morivano essi stessi, precipitativi dagli uomini di regioni
remote. Molti impazzirono... Le Vendicazioni esistono (io ne ho viste
due, che si riferiscono a persone da venire, e forse non immaginarie),
ma quei ricercatori dimenticavano che la possibilità che un uomo trovi
la sua, o qualche perfida variante della sua, è sostanzialmente zero.
Anche si sperò, a quel tempo, nella spiegazione dei misteri
fondamentali dell'umanità: l'origine della Biblioteca e del tempo. È
verosimile che di questi gravi misteri possa darsi una spiegazione in
parole: se il linguaggio dei filosofi non basta, la multiforme
Biblioteca avrà prodotto essa stessa l'inaudito idioma necessario, e i
vocabolari e la grammatica di questa lingua. Già da quattro secoli gli
uomini affaticano gli esagoni... Vi sono cercatori ufficiali,
inquisitori. Li ho visti nell'esercizio della loro funzione: arrivano
sempre scoraggiati; parlano di scale senza un gradino, dove per poco
non s'ammazzarono; parlano di scale e di gallerie con il
bibliotecario; ogni tanto, prendono il libro più vicino e lo
sfogliano, in cerca di parole infami. Nessuno, visibilmente, s'aspetta
di trovare nulla.
Alla speranza smodata, com'è naturale, successe una eccessiva
depressione. La certezza che un qualche scaffale d'un qualche esagono
celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili,
parve quasi intollerabile. Una setta blasfema suggerí che
s'interrompessero le ricerche e che tutti gli uomini si dessero a
mescolare lettere e simboli, fino a costruire, per un improbabile dono
del caso, questi libri canonici. Le autorità si videro obbligate a
promulgare ordinanze severe. La setta sparì, ma nella mia fanciullezza
ho visto vecchi uomini che lungamente s'occultavano nelle latrine, con
dischetti di metallo in un bossolo proibito, e debolmente rimediavano
al divino disordine.
Altri, per contro, credettero che l'importante fosse di sbarazzarsi
delle opere inutili. Invadevano gli esagoni, esibivano credenziali non
sempre false, sfogliavano stizzosamente un volume e condannavano
scaffali interi: al loro furore igienico, ascetico, si deve
l'insensata distruzione di milioni di libri. Il loro nome è esecrato,
ma chi si dispera per i «tesori» che la frenesia di coloro distrusse,
trascura due fatti evidenti. Primo: la Biblioteca è cosí enorme che
ogni riduzione d'origine umana risulta infinitesima. Secondo: ogni
esemplare è unico, insostituibile, ma (poiché la Biblioteca è totale)
restano sempre varie centinaia di migliaia di facsimili imperfetti,
cioè di opere che non differiscono che per una lettera o per una
virgola.
Contrariamente all'opinione generale, credo dunque che le conseguenze
delle depredazioni commesse dai Purificatori siano state esagerate a
causa dell'orrore che quei fanatici ispirarono. Li sospingeva l'idea
delirante di conquistare i libri dell'Esagono Cremisi: libri di
formato minore dei normali; onnipotenti, illustrati e magici. Sappiamo
anche d'un'altra superstizione di quel tempo: quella dell'Uomo del
Libro. In un certo scaffale d'un certo esagono (ragionarono gli
uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il compendio
perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l'ha letto, ed è simile
a un dio. Nel linguaggio di questa zona si conservano tracce del culto
di quel funzionario remoto.
Molti peregrinarono in cerca di Lui, si spinsero invano nelle più
lontane gallerie. Come localizzare il venerando esagono segreto che
l'ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il
libro A, consultare previamente il libro B; per localizzare il libro
B, consultare previamente il libro C; e cosi all'infInito... In
avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni.
Non mi sembra inverosimile che in un certo scaffale dell'universo
esista un libro totale; prego gli dèi ignoti che un uomo - uno solo, e
sia pure da migliaia d'anni!, - l'abbia trovato e l'abbia letto. Se
l'onore e la sapienza e la felicità non sono per me, che siano per
altri. Che il cielo esista, anche se il mio posto è all'inferno. Ch'io
sia oltraggiato e annientato. ma che per un istante, in un essere, la
Tua enorme Biblioteca si giustifichi.
Affermano gli empi che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che
il ragionevole (come anche l'umile e semplice coerenza) è una quasi
miracolosa eccezione.
Parlano (lo so) della “Biblioteca febbrile, i cui casuali volumi
corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano,
negano e confondono come una divinità in delirio”. Queste parole, che
non solo denunciano il disordine, ma lo illustrano. testimoniano
generalmente del pessimo gusto e della disperata ignoranza di chi le
pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture
verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli
ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto. Inutile osservarmi che
il miglior volume dei molti esagoni che amministro s'intitola Tuono
pettinato, un altro Il crampo di gesso e un altro Axaxaxas mlo.
Queste proposizioni, a prima vista incoerenti. sono indubbiamente
suscettibili d'una giustificazione crittografica o allegorica; questa
giustificazione è verbale, e però, ex hypothesi, già figura nella
Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di caratteri
dhcmrlchtdlj
che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue
lingue segrete non racchiuda un terribile significato. Nessuno può
articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori;
che non sia, in alcuno di quei linguaggi, il nome poderoso di un
dio. Parlare è incorrere in tautologie. Questa epistola inutile e
verbosa già esiste in uno dei trenta volumi dei cinque scaffali di uno
degli innumerabili esagoni - e cosi pure la sua confutazione. (Un
numero n di lingue possibili usa lo stesso vocabolario, in alcune, il
simbolo biblioteca ammette la definizione corretta di sistema duraturo
e ubiquitario di gallerie esagonali, ma biblioteca sta qui per pane, o
per piramide, o per qualsiasi altra cosa, e per altre cose stanno le
sette parole che la definiscono. Tu che mi leggi, sei sicuro
d'intendere la mia lingua?) Lo scrivere metodico mi distrae dalla
presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto
sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani
si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine,
ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie
eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in
banditismo, hanno decimato la popolazione.
Credo di aver già accennato ai suicidi, ogni anno più
frequenti. M'inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma
sospetto che la specie umana - l'unica - stia per estinguersi, e che
la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita,
perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile,
incorruttibile, segreta.
Aggiungo: infinita. Non introduco quest'aggettivo per un'abitudine
retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia
infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che in qualche luogo remoto
i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente cessare;
ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è
limitato il numero possibile dei libri. Io m'arrischio a insinuare
questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno
viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe
alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso
disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l'Ordine). Questa
elegante speranza rallegra la mia solitudine.